Leggo del casino scoppiato a Trieste, dopo che il sindaco Di Piazza ha deciso di rimuovere lo striscione giallo che invoca verità per Giulio Regeni, che da tempo era esposto sulla facciata del municipio. Fossi stato in lui non lo avrei fatto. Ma è inevitabile registrare che le polemiche sono scoppiate attorno a un simbolo, e non sulla questione di fondo: cosa si sta facendo per avere la verità sulla morte di Giulio Regeni ? Domanda che mi pare accuratamente evitata anche da chi polemizza con la rimozione, al punto da far sospettare l’eterna lite attorno ai simboli, all’identità, alle ideologie. Ed è curioso notare che nelle stesse ore a Rovereto, non dall’altra parte del mondo, viene ospitato il Segretario generale per le antichità egiziane, il dottor Mustafa Amin Mostafa. Semplice e nobile scambio culturale ? No, il segretario concede un’intervista – la potete rintracciare in rete – in cui parla a lungo di Regeni, discolpando il governo egiziano e accusando della sua morte un qualche servizio segreto straniero interessato a rovinare i rapporti tra Egitto e Italia.
Chi è il nume tutelare di questi rapporti culturali ? Il senatore Franco Panizza, del partito autonomista trentino, ma eletto da un cartello che comprende anche il PD. La cosa sfugge a Debora Serracchiani ? Può darsi, come devono essere sfuggite a molti la presenza dello stand del turismo egiziano al Salone che si svolge in questi giorni a Milano, e l’iniziativa di quell’imprenditore italiano che sta per organizzare un soggiorno promozionale di giornalisti italiani a Sharm El Sheikh. Non ho mai pensato che la ricerca della verità su Regeni dovesse comportare la rottura di rapporti diplomatici e di relazioni economiche tra Italia ed Egitto, e persino l’aver trattenuto in Italia il nuovo ambasciatore al Cairo mi è sembrata una mossa di facciata ma di poca efficacia: forse il regime del generale Al Sisi va marcato stretto, gli inquirenti italiani dovrebbero andare più spesso e più a lungo in Egitto. Di certo se proviamo a rispondere a quella domanda iniziale è difficile dire cosa si stia facendo per la ricerca della verità.
E se si fa poco o nulla, restano solo, come un boccone lanciato ai cuccioli, gli striscioni di Amnesty. Che certo non fanno male a nessuno, ma sono un pannicello caldo. O, peggio, un simbolo identitario. Lo stesso che provocò polemiche in un comune della bassa friulana dove il sindaco ebbe la giusta idea di esporre in contemporanea lo striscione che chiedeva la verità per Regeni e quello che chiedeva giustizia per i due marò. Storie molto diverse – cito la questione perché so che la cosa è risuonata in quel turbolento consiglio comunale di Trieste – ma dobbiamo essere per forza sempre così divisi da dover scegliere la causa che più ci aggrada, quella che conforta la nostra identità politica ? E’ così difficile dire che una coscienza civile imporrebbe di pretendere verità per l’uno e giustizia per gli altri, senza brandirne i nomi come fossero bandiere contrapposte ? Qualcosa mi dice che a Trieste si sia consumata l’ennesima lite da cortile, una specie di melanconico gioco a ruba bandiera, evitando di porsi con franchezza la domanda su cosa si stia concretamente facendo per raggiungere la verità su Regeni. E allora, se dovessimo stare al gioco, quanto a lungo devono restare esposti gli striscioni ? Fino a quando non si avrà una verità, viene da rispondere. Ma se la ricerca della verità langue, gli striscioni possono restare per sempre. E il per sempre rimanda alla rassegnata convinzione che la verità resterà irraggiungibile, e quegli striscioni diventeranno dei monumenti di tela. A questo punto sarebbe più logico chiedere che a Regeni siano intitolate delle vie o delle piazze o delle scuole, punto fermo di memoria in ricordo di una giovane vita e di un impegno di ricerca e di studio spezzate dalla violenza.
Lo stato Italiano può permettere che un suo cittadino, un ragazzo per bene, venga segregato e torturato per giorni?
La patria non conta più, è solo una parola.
Perchè la verità non va ricercata a Cambridge, tra quei professori che lo hanno mandato a fare una ricerca per un dottorato in economia marxista e gli hanno fornito i nomi di chi contattare, rifiutandosi poi di rispondere agli inquirenti? Perchè non mettiamo uno striscione fuori dall’ambasciata inglese? Paura di bruciarsi?