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In uno degli ultimi messaggi lo Stato Islamico minaccia ancora l’Italia, parlando di mediterraneo rosso di sangue se il nostro paese si arrischiasse ad attaccarli, e innalzando una virtuale bandiera nera sul Colosseo. Dobbiamo aver paura? No, sono altre le cose che dobbiamo temere.
La prima è l’instabilità permanente della Libia, dovesse proseguire con passo lento l’iniziativa diplomatica. Bene ha fatto Renzi “convocando” Putin a giocare un ruolo nella questione, anche se ha dimenticato che, senza la Russia, l’Iran ed Hezbollah, la Siria tutta intera sarebbe da tempo in mano allo Stato Islamico, grazie anche all’appoggio aereo di Obama che proprio Putin fermò in tempo. Già oggi le imprese italiane soffrono di una perdita da 100 milioni di dollari, in Libia, e già oggi dobbiamo preoccuparci degli arsenali di armi chimiche finiti nelle mani dell’Isis. Ma il dato peggiore è l’evidente difficoltà di mettere d’accordo le due Libie (il governo di Tobruk e quello di Tripoli) per fronteggiare lo Stato Islamico. Troppe le cosiddette proxy wars: Egitto e Arabia Saudita con Tobruk, Turchia e Qatar con Tripoli. E’ urgente trovare una forza mediatrice che abbia più prestigio e forza del povero diplomatico spagnolo che finora ha condotto vani tentativi sotto l’egida delle Nazioni Unite. Purtroppo in Italia continua a prevalere una lettura provincialissima: Prodi va bene o va male a seconda delle posizioni politiche, la minaccia jihadista di infiltrazioni attraverso i barconi viene letta come una macchina del fango all’opera sui migranti, nessuno esce da una logica di cortile, in una lacrimosa digestione di battaglie interne e correttezze politiche di principio. Il tempo, in Libia, lavora per lo Stato Islamico: non lancerà missili, non farà incursioni via mare, ma può trascinare dalla sua altre milizie, e incardinarsi come una presenza stabile in una Libia simile alla Somalia.
Il cuore di questa guerra è però altrove, a Mosul. Occupata da giugno, la città irachena di un milione di abitanti è il luogo in cui il Califfato è stato proclamato. Da aprile in poi ogni momento è buono per la riconquista di Mosul. Vi si stanno preparando nove brigate irachene e tre peshmerga, cioè 20/25mila uomini contro i 1000 o i 2000 jihadisti che in questo momento controllano la città. Gli Stati Uniti sono ancora indecisi se fornire o no i Jtac, cioè gli acquisitori di obbiettivi sul terreno in grado di guidare le incursioni aeree, oltre che gli istruttori e i consiglieri che dovranno guidare le dodici brigate. Averne parlato in pubblico è anche segno di una speranza: che gli jihadisti abbandonino pian piano la città, sia pure dopo averla resa un inferno di trappole esplosive. Quello che forse sfugge è che il Califfato esiste, nella tradizione musulmana, solo se controlla un territorio, e la perdita di Mosul sarebbe simbolicamente una sconfitta dura da sopportare, per lo Stato Islamico, ridotto alla semisconosciuta capitale di Raqqa.
Cosa aspettarci e temere, allora, in attesa di questa battaglia decisiva? Intanto un martellamento di orrori, a cominciare con i 90 cristiani assiri sequestrati nella provincia siriana di Hassakeh. Un’intensificazione del reclutamento in Europa: la polizia spagnola in queste ore ha arrestato quattro persone che avevano messo in piedi una rete estesa, in un paese da cui già 100 jihadisti hanno raggiunto la Siria. In Gran Bretagna un account twitter ha raccolto centinaia di offerte di matrimonio per jihadisti, anche da casalinghe disperate, oltre che da ragazzine immigrate di seconda generazione. E l’Italia? E’ il paese che finora ha registrato il minor numero di reclutati, ma nessuno può escludere l’opera dei cosiddetti lupi solitari (solo nelle carceri il Dap ha stilato una lista di 58 detenuti comuni che hanno esultato alla notizia degli attentati francesi).
Paradossalmente, però, i pericoli più grossi potrebbero venire proprio dalla liberazione di Mosul, e da un’ avanzata dell’esercito lealista in Siria, dove le forze di Assad sono all’offensiva nella periferia di Damasco e nella parte meridionale del paese, a ridosso del Golan e della Giordania. Il crollo dello Stato Islamico lascerebbe migliaia di jihadisti privati di un retroterra e del loro folle sogno. Un esercito di zombie pronti a ritornare a una delle pratiche più consuete, ma finora marginale nelle loro tattiche: il terrorismo suicida. Come un branco di cetacei si spiaggerebbero sui paesi traditori, dalla Giordania all’Egitto, e sull’Europa matrigna, con un solo messaggio, non più di conquista ma di vendetta. Le alternative fanno capire quanto crudo sia il conflitto in corso: costruire un’enorme Guantanamo in Medio Oriente, o non fare prigionieri.
ISIS… un tempo sentivo parole come “bombe intelligenti”, RAID chirurgici, satelliti spia, forze speciali come SEAL, Marines, incursori, ecc tutta “gente” che a sentire i governi possono risolvere minacce. a me sembra che questi nomi sono solo per l’industria del cinema, ma intanto si fanno pagare come reali. comunque a parte questo, se abbiamo paura degli infiltrati, e visto che questi individui sono e si definiscono integralisti radicati, perchè quando arrivano qui in italia non gli facciamo dei test a ciu un vero appartenente all’ISIS non accetterebbe MAI di sottoporsi? tipo firmare un documento di non appartenenza all’ISIS dove lo rinnegano apertamente, e magari registrarlo così da farlo vedere ai membri dell’ISIS. Mi vien da ridere, ma proporrei di farli giocare al calcio, da loro vietatissimo. e riprendiamoli con i video.
Un paese serio non quello di Napolitano e del PD forte con i deboli e codardo con i prepotenti schiererebbe le nostri navi da guerra usate ora in supporto agli scafisti e bombarderebbe isis in Libia